
Porto Rico, il faro delle Antille

Le scene viste finora sono senza dubbio ricche, ma non come quella di Porto Rico. È qui che si è formata la più grande comunità di musicisti e appassionati dell’area caraibica, ed è doveroso comprenderne i motivi.
Nonostante sia considerato una nazione a sé stante, Porto Rico è un territorio non incorporato degli Stati Uniti: ha una sua autonomia territoriale, le sue tradizioni e una sua lingua ufficiale, ma è sempre dipendente dal governo americano. Ciò va avanti dal 1898 e, da allora, il suo status politico è stato messo in discussione più volte tra tentativi di indipendenza e di annessione ma, alla fine, è rimasto sempre al suo posto.

Tutto ciò, in fin dei conti, è sempre andato bene ai portoricani. L’influenza americana portò dei benefici economici e sociali, rendendo quest’isola diversa dalle altre: il popolo è attaccato alle proprie origini, ma non ha mai avuto un pensiero “chiuso” verso le altre culture, inclusa quella musicale.
Porto Rico è famoso principalmente per la salsa, genere nativo dell’isola, ma essendo in rapporti stretti con una delle patrie del metal per eccellenza, anche la musica estrema diventò un fenomeno locale: i pregiudizi erano comunque frequenti, ma i metallari non furono ostacolati, né emarginati. Così, già a metà anni ’80, l’isola vide nascere una forte community con una storia che va ripercorsa tramite 3 band in particolare.

I Cardinal Sin sono stati i primi a suonare metal a Porto Rico. Nato nel 1984 a Bayamón, il combo di George López (chitarra, voce), John Dones (chitarra), Kenny Grau (batteria) e Diego Duran (basso) aveva conquistato subito una buona fanbase. Un gruppo musicale di nome “peccato capitale” non si era mai sentito prima, specie se suonava un thrash metal slayeriano intriso di testi a stampo politico-sociale.
Ma c’è un altro fattore da sottolineare: la maggior parte delle band del tempo, come i Xacrosaint e i Deathless, erano a sfondo cristiano. Per un periodo, suonarono addirittura davanti alle chiese per esprimere i loro testi religiosi e questo, più che un atto ideologico, fu un’opera di bene comune: così facendo, cambiarono la reputazione satanista del metal, contribuendo all’esplosione della scena.
Infatti, anche se i Cardinal Sin apparivano più ribelli, alla fine, vennero comunque apprezzati. Suonavano lo stesso genere delle altre band cristiane e, tra loro, non c’erano faide. Erano solo uniti da un unico interesse, quello di diffondere il metal in tutta l’isola. E, dopo un po’, ci riuscirono.
I metallari portoricani ormai li conoscevano, ma questo non bastava. I Cardinal Sin volevano diventare grandi e, così, decisero di trasferirsi a Boston, dove inizialmente ebbero anche fortuna: fecero molti show da headliner e altri assieme a giganti come Death Angel, Forbidden e Wargasm. Ma purtroppo, non fu abbastanza.
La band voleva trovare una label per pubblicare un full-length e farsi notare nel resto del mondo, ma ciò non accadde. Infatti, nel 2004 il gruppo si sciolse con una discografia povera, ma simbolica, passando il testimone a coloro che, finalmente, realizzarono il loro obiettivo.

I Puya nacquero nel 1991 a San Juan per volere di Ramon Ortiz (chitarra), Harold Hopkins Miranda (basso) e Eduardo Paniagua (batteria). Dopo aver reclutato il cantante Sergio Curbelo, i musicisti intrapresero lo stesso percorso dei Cardinal Sin trasferendosi a Fort Lauderdale, in Florida, per farsi un nome. Sarebbe stato difficile, ma non impossibile, e i ragazzi lo capirono nel migliore dei modi.
Per rendersi diversi da tutti, crearono un sound che attingesse da ciò che andasse forte in quel periodo, mescolandolo alle loro radici. Il risultato fu inedito: un mix di groove, thrash, nu e rap metal unito alla salsa portoricana. Nessuno aveva mai provato un simile azzardo, soprattutto all’epoca, e questa fu la loro fortuna.
Il loro primo omonimo album colpì chiunque per quanto è vario: si passa da brani ballabili a passo di danza ad altri da pogo sfrenato, in un mix tra strumenti tipici del metal e della salsa (conga e sax) e con testi dall’alternanza tra inglese e spagnolo (il cosiddetto “spanglish”).
Questo stile quasi inqualificabile non fu una scelta casuale. I Puya volevano lanciare un messaggio ben preciso: portare in alto l’identità metallara di Porto Rico a livello internazionale, e non c’era metodo migliore di questo per riuscirci. In una manciata di anni, infatti, i musicisti parteciparono a tanti festival americani importanti (tra i quali l’Ozzfest) condividendo il palco con artisti come Slayer, Sepultura e Pantera.

Ormai, anche al di fuori dei Caraibi, si sapeva che Porto Rico avesse una scena metal, ma non si conosceva ancora il suo underground. Cosa che, però, fu momentanea, perché i numerosi gruppi uscirono fuori gradualmente, soprattutto grazie ai Dantesco.

La band di Erico Morales si formò nel 2003 a Cayey, altro centro importante, suonando un epic/doom dalle voci pulite e dai testi poetici. Ciò che colpì, oltre al talento, fu la loro estetica, che rispecchiava i loro testi a carattere storico, politico e anti-religioso, oltre al logo in stile black. Dopo il primo album De la mano de la muerte (2005), attirarono l’attenzione della label italiana Cruz del Sur, che si occupò di pubblicare il secondo album Pagano (2008) in Europa.
Ciò permise ai Dantesco di essere conosciuti anche oltreoceano, diventando un nome di punta per il metal portoricano. Ad oggi, la band è in stallo a causa della morte di Morales, ma fino al 2021, ha realizzato altri 4 album, facendo notare anche il resto degli acts più estremi.
In ambito death, gli Organic Infest (oggi Organic), i Deathkross e gli Encrypted emersero già nei primi anni ’90, mentre tra i più recenti ci sono i Blood Rapture, i Necronemesis e gli Zafakon. Nel black, invece, nessuno è stato più importante dei Godless. La band fondata da Lord Asaradel è attiva dal 1989 ed ha avuto un buon riscontro in Scandinavia, spianando la strada ad altri progetti come Carpathian Wrath, Traurent, Valturn e Vermyapre.
Anche la presenza di donne è rilevante nelle formazioni estreme. Tra le principali si ricordano Damaris Negrón dei Death Arrangement (morta nel 2012), le Matriarch, band melodic death totalmente al femminile, e la singer Angra del duo black Angbrodas Curse.

È così che il metal a Porto Rico è diventato un fenomeno consolidato, in un contesto che, pur avendo perso esponenti importanti, continua a crescere sempre di più.
Giamaica e Barbados: due scene in una

La scena metal della zona caraibica non è di certo la prima che viene in mente, a maggior ragione se lo sguardo è rivolto alle Piccole Antille. Ma qualcosa si è mosso anche qui, partendo da uno dei Paesi più inaspettati.
Quante volte è capitato di sentire nella stessa frase le parole “metal” e “Giamaica”? La risposta breve è prevedibile, ma questo è il momento giusto per darne una più dettagliata.

Il popolo giamaicano è legato a doppio filo con l’Africa subsahariana per la sua origine e per i vari culti nati o trapiantati nella sua terra. Tra questi, c’è la religione rastafariana che, nonostante sia riconosciuta come autoctona, ha piene origini africane. Le sue dottrine sono famose per essere pacifiche e spirituali, rese note grazie al genere musicale nato lì, il reggae, e ai testi del suo inventore diventato un’icona universale: Bob Marley.
La Giamaica, quindi, ha un’identità culturale e musicale di ferro che si rispecchia in tutto ciò, ma non sono gli unici aspetti che la caratterizzano.

Un altro culto diffuso nel Paese, infatti, è quello dell’Obeah, religione importata dalla popolazione africana degli Ashanti, che ha molti tratti comuni con il Vudù (o Voodoo), famoso per le bambole che si vedono nei film, ma che nasconde filosofie specifiche e non proprio negative. Tuttavia, il Vudù ha assunto il sinonimo di “stregoneria nera” nel corso degli anni, esattamente come l’Obeah che, quando arrivò in Giamaica, si scontrò con la religione nativa Myal e venne visto come maligno.
Un culto del genere, diverso dal rastafarianesimo, rispecchia vagamente l’animo del black metal, oscuro e remoto, che non si potrebbe mai attribuire all’indole giamaicana per come la si conosce. Ma c’è qualcuno che è andato controcorrente, sulla base di queste filosofie, in modo quasi unico: Lord Ifrit.

Il musicista di Portmore sarebbe un prete obeah di quinta generazione che, da buon predicatore, ha deciso di fondare il primo progetto metal della Giamaica: Orisha Shakpana. Il nome trae spunto dalla mitologia Yoruba, secondo cui gli orisha sono semidèi con poteri sovrannaturali e, tra loro, Shakpana è il portatore di malattie epidermiche.
Ciò che è venuto fuori dal suo estro, non a caso, è un black metal grezzo alla Darkthrone, con vocals in stile war metal, presentato nel primo album Satanic Powers in Jamaican Hills (2006), perfezionato nei successivi Misanthropic Warfare (2007) e Spectral Duppymaan Black Metal (2010), e replicato nel suo side-project Broken Messiah.
Lord Ifrit ha lasciato un segno indelebile nella storia musicale giamaicana, ispirando i Satan’s Anger, suoi fedeli seguaci, provenienti dalla capitale Kingston. Attualmente, il musicista vive a Philadelphia, ma prima di trasferirsi, le sue tracce sono arrivate fino all’altra parte dei Caraibi.

Il piccolo stato di Barbados, a livello musicale, è conosciuto per Grandmaster Flash, tra i padri fondatori dell’hip hop, e Rihanna, icona del pop. Ma se parlassimo di metal, troveremmo qualcuno? Sì, e la risposta è Kadeem Ward, in arte Emdeka Anubis. A lui, infatti, va il merito di aver fondato nel 2009 il primo act black metal barbadiano: Conrad.
Nonostante sia un progetto solista, è stato importante proprio il ruolo di Lord Ifrit per aver disegnato il suo logo, per aver collaborato in una traccia dell’EP Conrad Within (2011) e per avergli dato, assieme ai Windir, una sana dose di influenza stilistica, presente nella sua discografia composta da 2 demo, 3 EP e un full-length.
Oltre Conrad, un altro progetto da considerare è Tboptpias, sempre di Bridgetown, sempre black metal, che conta un solo EP dal titolo Caucasian Flagellation (2016).
Giamaica e Barbados, quindi, sono indubbiamente legate nell’ambito della musica estrema. Non hanno condiviso solo degli esponenti, ma anche il modo in cui hanno formato, seppur in piccole dimensioni, la propria scena: con lo stesso sottogenere, due artisti di punta e i loro pochi, ma buoni discepoli.
Trinidad e Tobago, una solida realtà

Rimanendo nelle Piccole Antille, c’è un’altra nazione che ha sviluppato una buona scena metal: Trinidad e Tobago.
Lo stato, formato dalle due omonime isole, ha una forte tradizione musicale riconosciuta nel calypso, genere dai ritmi sincopati, chitarre acustiche e strumenti a percussione come tamburi e bongo, reso famoso dall’americano Harry Belafonte, ma nato proprio in questa terra.
Un suo tratto tipico, inoltre, sono i testi: soprattutto nell’epoca coloniale, fu spesso censurato a causa del suo contenuto politico e di forte protesta, ma questo non fermò la sua diffusione che, anzi, diventò sempre più grande proprio per ribellione. Le stesse filosofie di un genere musicale che, di recente, è diventato noto anche qui.

Oltre alla capitale Port of Spain, una città importante per il metal è San Fernando, in cui è nata la maggior parte delle band. Tra queste, ci sono i Tremor, attivi dal 2000, che da un iniziale progressive metal, sono passati al death melodico di scuola At The Gates.
Altri gruppi importanti sono i Necropollis (sciolti) e gli Avatar (oggi Klavium) che uscirono dai confini delle isole grazie a due musicisti che abbiamo imparato a conoscere: Lord Ifrit e Emdeka Anubis, entrambi presenti nell’album No… Metal… No… Life (2011) rispettivamente nelle vesti di disegnatore (del logo) e produttore audio.
Essendo nata un po’ tardi, la scena trinidadiana non ha attirato molta attenzione, ma c’è una band che è riuscita, almeno in parte, a farla notare.

I Lynchpin si formarono nel 2009 grazie a Sievan Siewsarran (voce), Aaron Maharaj (batteria), Gerard Ferreira (chitarra) e Jignesh Khatri (basso), tutti provenienti da band estreme locali dopo essersi sciolte. In linea con il loro background, i musicisti hanno scelto un sound a cavallo tra il classico death metal e il deathcore, cercando di farsi subito notare. E l’occasione giusta per farlo arrivò dopo qualche anno.
Nel 2016, il Wacken organizzò per la prima volta un contest nei Caraibi, che avrebbe dato ai vincitori la possibilità di suonare sui suoi palchi. Sievan e compagni colsero al balzo l’occasione, scalando la competizione con successo fino a vincerla. Così, dopo qualche mese, i Lynchpin sbarcarono in Germania, diventando la prima band caraibica ad esibirsi al festival metal più grande e importante al mondo.
Dopo la memorabile esperienza, i musicisti realizzarono l’album Millennial Holocaust (2018), mettendo in risalto una scena in sviluppo: tra gli acts estremi più recenti ci sono gli Apokrypha (black metal), gli Execution Mode (thrash/groove) e gli Immurement (brutal death), che hanno guadagnato un po’ di audience con album validi.
Attualmente, Trinidad e Tobago deve ancora sviluppare solide basi per il futuro della musica estrema, ma una cosa è certa: la sua crescita, in quest’ambito, sta procedendo nel verso giusto.


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