Negli ultimi anni i Sinister Ghost si sono imposti come una delle realtà più intriganti del panorama underground italiano, capaci di mescolare tensione emotiva e ricerca sonora in un linguaggio musicale riconoscibile e sempre in evoluzione. Con il nuovo EP Reo Tempo, la band compie un ulteriore passo in avanti, confermando non solo quanto già mostrato in passato, ma ampliando anche i confini delle loro abilità artistiche.

Il disco, che ha visto anche il contributo di Oscar Marino per la traccia Op.1 e del batterista Astaroth, si presenta come una riflessione corale su temi pungenti come l’aborto, il consumismo e lo sfruttamento dei bambini soldato da un punto di vista critico e provocatorio. Le atmosfere cupe e stratificate, marchio di fabbrica del gruppo, dialogano con una scrittura più matura e consapevole, in cui ogni brano sembra essere un tassello di un’unica narrazione.

Un lavoro che merita una forte attenzione soprattutto per ciò che esprime e, in occasione della sua uscita, non è mancata l’opportunità per approfondire, con una lunga conversazione, ogni suo aspetto, ma anche la direzione futura di una band che continua a sorprendere per coerenza, profondità e capacità di rinnovarsi.

La copertina di Reo Tempo

Ciao ragazzi, è un piacere poter scambiare nuovamente due chiacchiere con voi. Esattamente due anni fa, parlavamo del vostro ultimo album What’s Left of Human?, adesso invece ci concentriamo sul vostro ultimo EP. Cosa è cambiato da allora?

SYNUGOTH: «Da parte nostra la voglia di fare musica è rimasta e la stiamo coltivando ancora di più, sono cambiate solamente le nostre capacità, conoscenze e stile della musica che vogliamo fare: siamo sempre alla ricerca di nuovi stimoli per creare la nostra arte. In questo caso ci siamo spinti in una direzione più estrema mantenendo la componente sinfonica e melodica».

La differenza che si nota all’istante è il concept. Pur essendo a volte presenti anche nelle opere precedenti, in questo EP i rimandi a temi di attualità, tra l’altro molto discussi ultimamente, sono dominanti. Da dove nasce questa decisione?

ASMORT: «Non è stata una decisione, è stato un processo del tutto naturale. Sentivo il bisogno di scrivere di alcune cose che non mi piacciono della vita di tutti i giorni, a cui tutti siamo inevitabilmente esposti. Viviamo, ad oggi, in una società in cui si cerca sempre di nascondere il “brutto” o, ancora peggio, lo si ignora: non si pensa, quindi non si agisce sui problemi, che rimangono lì, irrisolti. È preoccupante. Sembra quasi che le persone preferiscano rifugiarsi in un mondo ideale e fasullo, piuttosto che aprire gli occhi sulla realtà. La gente sta smettendo di pensare pur di stare meglio, di avere una propria opinione, perfino di lamentarsi. Spero che questo EP possa far mettere in moto qualche cervello: pensare, riflettere e, per quanto possibile, agire».

Passiamo all’aspetto tecnico-stilistico. Il vostro modus operandi è rimasto pressoché lo stesso, ma ho notato una maggiore propensione alla melodia. È una scelta puramente artistica o serve ad accentuare i temi trattati?

SYNUGOTH e AELODH: «Sono elementi che certamente servono anche alla narrativa, ma è una scelta stilistica che a noi piace molto e stiamo perfezionando in ogni nuova fatica discografica».

A proposito dei temi trattati, qual è quello principale e quale brano rappresenta l’essenza del disco?

AELODH: «Il tema principale dell’EP risiede in maniera metaforica proprio nel suo titolo Reo Tempo, il tempo colpevole e malvagio, ripreso da Ugo Foscolo. La nostra scelta sta a rappresentare i temi trattati nei brani, che riguardano vari aspetti della decadenza del mondo odierno, come guerra, violazione dei diritti umani ecc. Tutti i brani dell’EP possono benissimo essere collegati all’opener Who Is God Now?, domanda che come per il precedente lavoro What’s Left of Human? potresti porti alla fine dell’ascolto di ogni brano».

Soffermiamoci sulla strumentale che chiude l’EP. Data la sua struttura chiaramente diversa, oltre che all’impronta molto introspettiva, qual è stato il processo creativo che vi ha spinto a comporla? 

OSCAR MARINO: «Op.1 l’ho scritta pensando come organico a un quartetto per pianoforte e archi, modo per richiamare le sonorità cameristiche tipiche di fine ‘800 evidenziato anche dalla scelta del ritmo di valzer. Quello che lo rende diverso, a parte alcuni gesti “esagerati”, è il finale. Grazie all’aiuto di armonie più dissonanti e tono misterioso ci dà un’idea del decadimento come se fosse la memoria di una bellezza ormai lontana e irriconoscibile. Questo brano è stato inoltre registrato da me al pianoforte e con Lucrezia Bussola al violino, Gabriele Scaioli alla viola e Monica Pilotti al violoncello».

ASMORT: «L’idea del brano orchestrale nasce dall’immaginario di Oscar, il fantasma che il pubblico ha già incontrato nel brano The House of Violin presente in What’s Left of Human?. In questo nuovo EP, Oscar torna con un prequel che racconta parte della sua vita terrena. Il brano Oscar… That Was My Name è concepito come una narrazione in prima persona: il fantasma ci svela il suo passato, mostrando il conflitto tra la sua bellezza e il suo talento. Racconta come, in vita, fosse ammirato più per il suo aspetto che per la sua eccellente musica. Non poteva sopportare che la musica fosse messa nell’ombra dalla sua bellezza, un tormento che lo spinse a sfregiarsi con l’archetto del violino. Dal sangue sulle bende emergono le note di Op. 1. Oscar le osserva, le impara e decide di eseguirle nel suo ultimo concerto da vivo, rivelando prima il volto sfregiato. Quel concerto sarebbe stato l’ultimo per lui, prima del ritiro nella sua Casa del Violino, davanti a un pubblico che lui stesso considerava immeritevole della sua arte. Quindi, quando ascolterete Op.1, ascolterete l’ultima opera di Oscar in vita, ma anche la prima in cui lui sentì davvero di rispettare la sua amata musica. La critica sociale è anche qua, leggermente più celata e sottile ma è presente».

Kill that Fetus è stata la traccia che ha anticipato l’EP e che ha avuto un suo impatto rumoroso anche per il videoclip. Che impressioni avevate prima di pubblicarlo?

AELODH: «Con Kill That Fetus eravamo consapevoli sin dall’inizio che sarebbe stato un brano capace di impressionare, soprattutto per la tematica molto attuale ed estremamente delicata, in grado di colpire sia chi cerca di vietare l’aborto e renderlo un reato, sia chi è vittima di queste modalità. Oltre a questo, vanta di un ritornello fisso e immediato che facilmente rimane in testa».

ASMORT: «Diversi gruppi Pro-Life hanno avvalso la proposta di far ascoltare il battito cardiaco alle donne che intendono abortire. La proposta di legge porta il nome di “Un cuore che batte” ed ha raccolto oltre 100.000 firme. Quindi la nostra è una chiara provocazione a partire già dal titolo con “Anti-Life”».

SYNUGOTH: «Inoltre, il battito cardiaco presente a circa metà brano è reale e registrato da noi personalmente, per autenticità e sfizio personale».

Siete arrivati alla terza opera e, ormai, le vostre abilità si conoscono. Ce ne sarà una quarta?

SYNUGOTH: «Non vorremmo ripeterci, ma la nostra voglia di fare musica non è mai cessata, magari la sua forma cambierà nel tempo, ma continueremo come sempre a lavorare ai nostri brani dietro le quinte, in attesa anche da parte nostra di poterli registrare, pubblicare e farli ascoltare al grande pubblico. Nel frattempo speriamo che questo EP di “transizione” possa essere di gradimento globale. Grazie per averci intervistato un’altra volta, è sempre un piacere avere a che fare con te e speriamo tutti noi di incontrarti di nuovo. E magari, questa volta, in Canada!».

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