
Nel metal ci si imbatte in ogni tipo di pseudonimo. Dai più tematici ai più disparati, passando da quelli più espliciti e furiosi che, molto spesso, rispecchiano il concept del rispettivo progetto. Nella maggior parte dei casi, dunque, è molto facile capire il profilo di varie band, soprattutto nei sottogeneri più estremi, in cui si trovano nomi che non lasciano spazio a libere interpretazioni.
Eppure, non sempre corrispondono alla loro identità, essendo alcuni totalmente ingannevoli. Certo, una volta scoperto il genere che suonano, è facile capire che si tratti di una parodia o di un nome messo lì proprio per essere fuorviante, ma a primo impatto, l’impressione è completamente diversa scatenando, in un secondo momento, stupore e incredulità.
Party Cannon

Guardando i Party Cannon, a prima vista, sembrano la band più innocua del mondo: espressioni sempre scherzose, appeal da festaioli e un nome, giustamente, altrettanto tale, reso ancor più chiaro dal font del logo che sembra quello di un cartone animato per bambini. Ma basta ascoltarli un secondo per capire che, in realtà, sono una delle band più brutali in circolazione. I tre album Bong Hit Hospitalization (2015), Volumes of Vomit (2022) e Injuries are Inevitable (2024) sono un concentrato di puro slam/brutal death colmo di riff pesanti, blast beats, growl profondi e pig squeals che ben rispecchiano le copertine, in cui il concetto di “party hard” che tanto li caratterizza, viene reso al parossismo da scene grottesche al limite del gore. In sostanza, chi non conosce gli scozzesi può benissimo scambiarli per dei Nanowar of Steel 2.0, ma dopo averli approfonditi, scoprirà una realtà ben diversa.
Guineapig

Per presentare i Guineapig c’è bisogno di alcune premesse. Iniziamo dalla più importante: si tratta di una delle band italiane più talentuose in ambito estremo (attiva dal 2013) e una delle più in voga nel goregrind. La seconda, invece, riguarda il loro nome: in inglese, il termine “guinea pig” si riferisce alla classica cavia da laboratorio per gli esperimenti più disparati, ovvero il porcellino d’india, animaletto tenero e innocuo che fa trasparire solo dolcezza. Associando il mero significato di “cavia” al genere che suonano il collegamento risulta logico, ma se si guardassero da una prospettiva totalmente profana, accadrebbe l’esatto contrario. I romani, infatti, usano spesso l’immagine del porcellino d’india per presentarsi al pubblico, sia nelle varie grafiche, sia nel loro merchandise ufficiale, e alla vista di occhi innocenti, potrebbero sembrare una band dal suono leggero. Ma basta ascoltare gli album Bacteria (2013) e Parasite (2022) per accorgersi della brutalità della loro musica che, finora, ha guadagnato solo enormi consensi.
Kitty Kitty Meow Meow

Questo è sicuramente un moniker che, a primo impatto, suscita un’espressione di ilarità mista ad incredulità. Ma è tutto reale: dal 2024, nel metal estremo, esiste un progetto di nome Kitty Kitty Meow Meow. E chi direbbe, guardandolo da lontano, che si tratta di un qualcosa di tremendamente brutale? Già solo la scritta potrebbe essere stampata su delle magliette rosa e, con Hello Kitty sopra, non lascia immaginare altro. In effetti, Logan Young, fondatore e unico membro della band, potrebbe lanciare una linea di abbigliamento per un target molto giovane, con la consapevolezza che, da un momento all’altro, si scoprirebbe che dietro a quel logo innocente si nasconde un grindcore feroce incentrato sull’animalismo e, più precisamente, sui gatti. Non sorprende che i suoi singoli si intitolino Cats Are Pretty Cool, Ambush by Kittens e Hissing, pregni di growl asfissianti, bpm all’impazzata e chitarre stridenti, presentati da copertine dove sono ritratti… indovinate un po’? Solo gatti.
Kittie

Una band simile di nome, ma assolutamente non di fatto, sono le Kittie. Le canadesi, a differenza del progetto presentato pocanzi, sono attive da ben 29 anni e sono passate alla storia come una delle prime formazioni completamente al femminile a spingersi verso sonorità estreme. Definirle brutali sarebbe un po’ esagerato e, forse, non dovrebbero neanche essere considerate in questa categoria, soprattutto per il sound che hanno adottato in seguito. Ma quando uscì il loro primo album Spit (1999) non passò di certo inosservato, perché nessuno si sarebbe mai immaginato, da quattro ragazze con questo nome, un album così energico e irruento. Motivo per cui, ancora oggi, si fatica a realizzare, per chi non le conosce, che una band del genere sia così vigorosa. Anche se non a livello di quelle citate in precedenza.
Happy Days

Anche in questo caso, parlare di brutalità non sarebbe del tutto corretto. Ma, attenzione: si tratta pur sempre di black metal. Anzi, depressive suicidal black metal, che con il nome della band non c’entra niente. Infatti, gli Happy Days, come dichiarato dal frontman A. Morbid, si sono ispirati all’omonima sitcom degli anni ’70 proprio per “cogliere le persone alla sprovvista e confondere totalmente le loro menti”. Detto, fatto, perché nella loro musica non c’è niente di simile all’euforia che si nota nella sigla e nelle clip della serie televisiva, ma c’è solamente tristezza, solitudine, misantropia e nichilismo. Lo si comprende dalle note di album come Melancholic Memories (2008), Happiness stops Here (2009) e soprattutto Cause of Death: Life (2012) veri e propri viaggi sonori nella disperazione che, nonostante presentino parti più melodiche e tendenti alla shoegaze, non disdegnano la classica struttura del black cupo, pesante e opprimente.
Lifelover

Un caso analogo agli Happy Days? Sono ovviamente i Lifelover: tra le band più rappresentative del depressive black metal, hanno rilasciato 4 full-length, un EP e un demo, sciogliendosi nel 2011 dopo la morte del chitarrista Nattdal. Gli svedesi sono stati un tassello fondamentale per la scena DSBM, mettendosi in mostra non solo tramite il loro stile, ma anche con il loro pseudonimo. Perché se una band si chiama “amante della vita” e nelle sue liriche parla dell’esatto contrario, desta una certa curiosità. Soprattutto se utilizza un sound che non lo rispecchia per niente, anche se non totalmente brutale.
Little Puppy Princess

Torniamo, infine, nel pieno regime del sound duro e aggressivo con i Little Puppy Princess. Il trio proveniente da Seoul, Corea del Sud, non desterebbe mai il sospetto, almeno all’apparenza, di essere così irruento: non è solo il nome a suggerirlo, ma anche la nazione di provenienza, terra del K-pop e di tutti quegli artisti che diventano famosi solo con un brano virale. Eppure, il paese asiatico possiede una scena underground non grande e seguita come nelle nazioni circostanti, ma coesa nella sua dimensione. E questo trio lo dimostra chiaramente: nella loro discografia contano numerosi split, un demo e un EP dal titolo Anti-Scum Human (2017) in cui si può apprezzare a pieno il loro operato, fatto di grindcore puro e diretto. Se qualcuno li sentisse nominare senza conoscerli, penserebbe sicuramente alle solite cantanti o ballerine graziose e di tutto punto. Niente di più sbagliato.


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