Il periodo buio e la rinascita con l’Ozzfest

Ozzy, ormai, ce l’aveva fatta: era riuscito a rialzarsi dopo essere stato allontanato da una delle band più importanti della storia e stava diventando sempre di più un idolo a tutto tondo. La sua figura non era più legata alla musica, ma anche al suo modo di essere e alle sue continue esibizioni fuori dal comune.

Come dimenticarsi del famoso concerto di Des Moines del 1982? Lo sanno anche le pietre perché quella data passò negli annali: la scena del pipistrello è una delle più iconiche di cui ci si possa ricordare, tant’è che anche lo stesso Ozzy lo affermò a chiare lettere: “Non è il modo in cui vorrei essere ricordato – rivelò al Los Angeles Daily News – ma so che mi ricorderanno come l’uomo che staccò la testa di un pipistrello a morsi. Sarà questo il mio epitaffio”.

Ozzy Osbourne nella famosa scena del pipistrello. Blitz Quotidiano

Le leggende nate attorno alla sua figura, proprio da quell’episodio, non sono dicerie, ma il riflesso di un’esistenza consumata dagli eccessi.

Quello fu solo uno dei tanti segnali di una spirale distruttiva.
Sharon gli stava vicino più di chiunque altro, cercando di curarlo da ogni tipo di dipendenza. Eppure, puntualmente, Ozzy ci ricascava: l’alcol era diventato la sua quotidianità, tant’è che nel 1984 venne arrestato a Memphis per ubriachezza molesta.

Ma il momento peggiore arrivò nel 1989, quando tentò di strangolare sua moglie dopo aver bevuto quattro bottiglie di vodka. Venne arrestato per tentato omicidio, ma Sharon ritirò le accuse a una condizione: che lui entrasse di nuovo in clinica. Questa volta per sei mesi.

Foto segnaletica di Ozzy in carcere nel 1984. Ultimate Classic Rock

Fu un momento di rottura. La leggenda aveva toccato il fondo e, in quel momento, l’Ozzy Osbourne che tutti conoscevano aveva mostrato il lato peggiore di sé. Ma anche in questo periodo buio, riuscì a rialzarsi.

Non fu solo No More Tears a simboleggiare la sua rinascita, ma anche e soprattutto il successivo Ozzmosis, un disco più cupo, malinconico e segnato dall’introspezione. Brani come Perry Mason e See You on the Other Side parlano di alienazione, giustizia e solitudine, mostrando il significato del titolo dell’album, quasi a far trasparire una trasformazione interiore.


Una trasformazione che, nel periodo di maggiore lucidità, arrivò proprio grazie all’aiuto della moglie, con cui, nel 1996, decise di fondare l’Ozzfest, il festival che riunì per la prima volta i giganti del metal e le giovani promesse a livello mondiale. Ed è qui che la figura di Ozzy cambiò: non era più solo un musicista, un frontman o un personaggio fuori dalle righe, ma una vera guida della scena metal.

Da lì in poi, infatti, non si sarebbe solo limitato a promuovere le band nascenti, ma anche le loro sonorità, sostenendo qualsiasi tipo di cambiamento e innovazione stilistica all’interno del genere che lui stesso, con i Black Sabbath, aveva inventato, portandolo avanti da solista.

L’uomo che un tempo non riusciva a stare in piedi sul palco senza rischiare di cadere, ora sorreggeva un’intera scena musicale sulle proprie spalle.

Anni 2000: The Osbournes e i nuovi album

Ancora una volta, Ozzy riuscì a rimanere in alto. Dopo il possibile tracollo, ebbe modo di manifestare concretamente il suo nuovo ruolo nel mondo del metal: quello di mentore, aggregatore e custode della tradizione, capace di parlare anche ai giovani.

La locandina del primo Ozzfest (1996)

All’inizio degli anni 2000, Ozzy diventò un pilastro della scena metal globale, guadagnandosi il rispetto anche delle nuove generazioni di musicisti. La sua immagine diventò così grande che ormai era destinata a varcare i confini di quella dimensione in cui era diventata importante. E ciò accadde nel 2002, quando debuttò su MTV The Osbournes, un reality show che mostrava la quotidianità surreale, ma genuina, della famiglia Osbourne: Ozzy, Sharon, e i figli Jack e Kelly.

Fu un successo clamoroso e imprevedibile: milioni di spettatori si sintonizzavano ogni settimana per guardare la vita del Principe delle Tenebre tra risvegli confusi, battute nonsense e scenate domestiche.

Il reality, andato in onda dal 2002 al 2005, ridefinì completamente la sua immagine pubblica: Ozzy divenne un’icona pop, capace di conquistare anche chi non aveva mai ascoltato i Black Sabbath o i suoi album.

La title card della serie The Osbournes

E in quel paradosso stava la vera forza del personaggio: non aveva perso il suo spirito selvaggio, lo aveva solo umanizzato. Mostrarsi vulnerabile, stralunato, sopra le righe e sempre spontaneo, lo rese più universale che mai.

Ormai era diventato un’icona a 360 gradi, ma non si fermò in ciò che sapeva fare meglio: comporre musica. Down to Earth, infatti, segnò il suo ritorno in splendida forma, confermando ancora una volta il suo status di protagonista nel mondo della musica.

Dopo un silenzio di sei anni, Ozzy tornò con Black Rain, uscito il 22 maggio 2007, tornando a collaborare con Zakk Wylde, già impegnato con i Black Label Society, e con Mike Bordin alla batteria. Nonostante le recensioni contrastanti, l’album confermò il suo status di pilastro nella scena anche in un’epoca dominata da nuovi generi.

Poi venne la volta di Scream, uscito nel 2010, che vide l’arrivo del chitarrista Gus G. Nonostante il cambio di formazione e un tentativo di modernizzare il sound, l’album non lascia un’impronta profonda, ma testimonia una verità: Ozzy continua a fare musica, con costanza e determinazione, anche quando non è sotto i riflettori.

Reunion con i Black Sabbath e i primi problemi di salute

Dopo il 2010, le cose sembravano andare per il verso giusto: il principe delle Tenebre era tornato a comporre musica, il suo progetto solista vantava importanti collaborazioni e, come se non bastasse, nel 2011 annunciò, assieme a dei vecchi compagni, una delle sorprese più inaspettate: la reunion dei Black Sabbath.

Furono tutti i membri originali a confermare la notizia, annunciando non solo un tour mondiale, ma anche la realizzazione di un nuovo album. Tuttavia, i piani subirono una battuta d’arresto quando a Tony Iommi viene diagnosticato un linfoma.

Il mondo della musica era in pensiero per il chitarrista, ma fu di nuovo il buon Ozzy a trovare la soluzione: nell’attesa della guarigione del suo vecchio amico, rimpiazzò i Black Sabbath con la band Ozzy & Friends, un supergruppo con musicisti del calibro di Zakk Wylde, Slash, Geezer Butler e Tommy Clufetos, riuscendo a mettere una pezza sulla situazione spiacevole che si era creata.

Così, dopo il periodo difficile, nel 2013 uscì il tanto atteso nuovo album dei Black Sabbath con il titolo 13 e con Ozzy alla voce per la prima volta dai tempi di Never Say Die!.

Prodotto da Rick Rubin, l’album segna un ritorno potente alle sonorità delle origini. Nonostante l’assenza di Bill Ward a causa di controversie contrattuali, 13 rappresenta una chiusura del cerchio, un ultimo grande atto per una delle band più influenti della storia della musica.

Dopo questo storico disco, Ozzy continuò ad esibirsi in alcuni spettacoli, ma nel 2019 iniziò ad avere i primi problemi di salute a seguito di una caduta in casa. Una caduta tutt’altro che banale, poiché peggiorò le vecchie ferite del grave incidente in quad che ebbe nel 2003, a seguito del quale venne operato d’urgenza in condizioni critiche.

Dopo l’incidente, riportò un danno grave alle vertebre che richiese un’altra operazione alla colonna vertebrale, inclusa l’installazione di viti e barre metalliche, segnando l’inizio di una lunga serie di problemi di mobilità e dolori cronici. I primi segnali di un imminente peggioramento.

Gli ultimi anni

Nel 2020 il mondo si fermò per la pandemia. Ozzy iniziò ad accusare i sintomi più consistenti del morbo di Parkinson, diagnosticatogli nel 2003, ma reso noto solo in quel periodo, e come se non bastasse annunciò anche il bisogno di sottoporsi ad operazioni chirurgiche per far sì che le cose non peggiorassero.

Eppure, in una situazione così difficile, il Principe delle Tenebre riuscì ancora una volta a rialzarsi grazie al suo estro creativo, che gli permise di comporre Ordinary Man a distanza di dieci anni dalla sua ultima opera.

E no, non si tratta di un disco qualunque, ma di un’opera diversa, segnata dal dolore che lo affliggeva in quel periodo, che lo ha spinto ad esprimersi in soli 4 mesi con la collaborazione di artisti quali Duff McKagan al basso, Chad Smith alla batteria, e ospiti come Slash, Elton John e Post Malone.

Il risultato è sorprendente: un disco che mescola il classico sound di Ozzy a elementi più melodici, orchestrali, quasi confessionali. Lontano dai cliché del metal, Ordinary Man è l’album di un uomo che guarda alla morte con lucidità ma senza paura, con un tono più riflessivo che oscuro.

Una sorta di testamento che, in fin dei conti, non si rivelerà tale. A due anni dal successo di Ordinary Man, quando ormai molti pensavano che quella fosse la sua ultima dichiarazione artistica, Ozzy stupì di nuovo, pubblicando nel settembre 2022 un disco ancora più ambizioso, pesante e sorprendentemente vitale: Patient Number 9, realizzato al fianco di prestigiosi collaboratori come Mike McCready, Jeff Beck, Eric Clapton, il vecchio amico Tony Iommi e il suo allievo Zakk Wylde.

Nonostante il tono funereo, i temi profondi e i richiami alla malattia, la sua voce è potente, i suoi testi sono lucidi e visionari, la sua ispirazione tocca livelli elevati.

Se Ordinary Man poteva sembrare il suo testamento intimo e personale, Patient Number 9 dimostrò l’esatto contrario, quasi a far trasparire una speranza di rivederlo in forma. Ma, purtroppo, con l’avanzare dell’età, questa possibilità sfumò sempre di più.

Tra il 2022 e il 2023, le sue condizioni fisiche peggiorarono, tant’è che si sottopose ad un quarto ed ultimo intervento alla spina dorsale. Ozzy, dunque, rinuncia ufficialmente ai tour, ma ancora una volta non si fermò. C’era ancora un ultimo desiderio che voleva realizzare, ovvero fare un ultimo show davanti ai suoi fan: “Se non posso continuare a fare spettacoli regolarmente, voglio solo stare abbastanza bene da poterne fare uno in cui posso ringraziare tutti. Questo è ciò per cui sto lavorando, e se alla fine morirò, lo farò da uomo felice”.

E l’occasione giusta non poteva che essere il concerto del secolo: i Black Sabbath, con la line-up originale, si sarebbero esibiti il 5 luglio 2025 al Villa Park, stadio dell’Aston Villa situato nel quartiere in cui Ozzy è cresciuto, accompagnati da Metallica, Slayer, Pantera, Gojira, Alice in Chains, Lamb of God, Anthrax, Mastodon e Halestorm, con la partecipazione di musicisti come Billy Corgan, Tom Morello, Slash, Duff McKagan e Sammy Hagar con i loro progetti paralleli.

La locandina del Back to the Beginning

Ozzy, debilitato da anni di lotta contro il Parkinson, salì sul palco seduto su un trono a forma di pipistrello, cantando in prima persona cinque brani solisti, da I Don’t Know a Mama, I’m Coming Home, con un atteggiamento degno di chi non chiedeva compassione, ma rispetto.

La performance non fu eseguita al massimo delle sue possibilità, come prevedibile, ma allo stesso tempo fu potente, emblematica, testimonianza della sua forza e della sua umanità. Sì, umanità, perché l’evento fu ideato per beneficenza, totalizzando 140 milioni di sterline da destinare agli ospedali e ad associazioni locali.

Ozzy durante il concerto del 5 luglio. The Guardian

E, il protagonista, tanto per cambiare, è stato lui. Ogni artista, ogni band presente suonò un brano dedicato ad Ozzy e ai Black Sabbath, in un gigantesco tributo rivolto proprio a colui che ha voluto più di tutti questo evento.

Un evento di cui Ozzy ne andrà sempre fiero, dato che il suo obiettivo era proprio questo: tenere un ultimo show, quello definitivo, quello che avrebbe detto addio alle scene, alla carriera e, purtroppo, anche a questo mondo.

Quasi per uno scherzo del destino, il Principe delle Tenebre si è spento il 22 luglio 2025, esattamente 17 giorni dopo quel saluto che ha dato a tutti i suoi fan con la soddisfazione più grande di sempre. Ozzy se n’è andato proprio come aveva desiderato, come aveva detto a chiare lettere, magari anche come si aspettava. Ma se n’è andato da vero pioniere. Da leader. Da icona.

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