Sudafrica: musica estrema contro il razzismo

Tra i Paesi dell’Africa meridionale, è indubbiamente il Sudafrica a distinguersi come il più sviluppato e dinamico, non solo per l’aspetto economico, politico e sociale, ma anche per quanto riguarda il metal, con una scena ben radicata e riconosciuta anche a livello internazionale.

Nel territorio sudafricano sono sparse centinaia di band che contribuiscono all’evoluzione di un movimento nato grazie a diversi fattori storico-culturali che ne hanno influenzato la formazione, la diffusione e, soprattutto, la sua identità.

Se oggi il Sudafrica, nonostante gli alti tassi di criminalità, si presenta come una nazione moderna e industrializzata, tra il XIV e il XX secolo è stato teatro di gravi tensioni socio-politiche che ruotarono attorno ad un’unica questione: la discriminazione razziale.

Le prime tensioni tra etnie diverse ci furono già a fine ‘800, quando il Sudafrica era una colonia olandese abitata dai boeri e il Regno Unito ne rivendicò il dominio. I britannici, presi dalle mire espansionistiche, vollero conquistare i territori occupati dai boeri avanzando in due sanguinose guerre, di cui persero la prima (1898-1899) ma vinsero la seconda (1899-1902) dopo la quale deportarono la popolazione locale in 58 campi di concentramento appositamente costruiti, in cui morirono più di 22mila bambini.

Campo di concentramento nel periodo della seconda guerra boera nei pressi di Bloemfontein. Storica National Geographic

Col passare del tempo, la situazione non fece altro che peggiorare. Nel 1910, i territori conquistati furono unificati nel dominion dell’Unione Sudafricana, parte del Regno Unito, ma con ampia autonomia.

Il nuovo governo, però, non era formato solo dai britannici, ma anche dagli afrikaner, diretti discendenti dei boeri, chiamati così perchè avevano ereditato la lingua dei loro antenati, ovvero l’afrikaans (tuttora ufficiale in Sudafrica).

Fu J.B.M. Hertzog, noto come Barry, a rappresentarli in ambito politico, fondando il Partito Nazionale (National Party) che doveva riportare in alto il loro nome. Infatti, dopo la dominazione britannica, gli afrikaner elitari saliti al potere erano spinti da una forte rivendicazione identitaria, cercando di liberarsi dall’influenza inglese con una cultura conservatrice e nazionalista.

J.B.M. Hertzog. The Observation Post

Tuttavia, sebbene gli inglesi e gli afrikaner fossero stati rivali, condividevano un unico obiettivo: mantenere la supremazia bianca a discapito della popolazione nera.

Se già negli anni ’20 furono approvate numerose leggi per limitare i diritti dei popoli locali, il culmine si raggiunse nel 1948, quando il Partito Nazionale, al comando totale della nazione, introdusse il sistema socio-politico con cui il Sudafrica diventò amaramente noto in tutto il mondo: l’apartheid.

Ufficializzato dal primo ministro Daniel François Malan e sviluppato dal suo successore Hendrik Verwoerd, il regime era basato su leggi di segregazione razziale che regolavano ogni aspetto della vita: residenza, lavoro, educazione, trasporti e perfino relazioni personali.

Cartello bilingue dell’epoca dell’apartheid in inglese e afrikaans. Diacronie

Ai neri non spettavano gli stessi privilegi dei bianchi, finendo internati in homelands diversi e venendo privati della cittadinanza sudafricana. In questo clima di esclusione forzata, anche l’accesso alla cultura era rigidamente controllato, riflettendo per lo più i valori della minoranza bianca.

Eppure, all’interno di questa difficile realtà, iniziarono a circolare molti dischi importati dall’Europa e dagli Stati Uniti di un genere musicale che si stava diffondendo nel resto del mondo.

Negli anni ’80, dunque, il metal si sparse progressivamente anche in Sudafrica, ma non senza enormi difficoltà. Fu la popolazione bianca ad importarlo nella nazione, in quanto i neri, nel proprio bagaglio culturale, erano più tendenti al blues, al jazz e all’hip hop. E questo fu un fattore tutt’altro che secondario: il movimento non proveniva dalla classe sociale in cerca di rivalsa, ma da quella più scolarizzata, privilegiata e ricca, fondatrice di una cerchia underground e di protesta.

Gli Urban Assault, formazione storica, composta da soli bianchi. The Nihilist Void

Fu proprio questa la causa scatenante della ribalta del metal in Sudafrica: qualsiasi fosse la cultura, l’etnia, o l’orientamento religioso di ogni individuo, questo genere musicale aveva il potere di unire tutti nella ribellione verso il regime, nella libertà di espressione e, soprattutto, in un legame di fratellanza. Motivo per cui rappresentava uno strumento ostile nei confronti dell’apartheid.

Inoltre, il governo afrikaner esercitava una forte censura anche di carattere religioso basata sui precetti della Chiesa riformata olandese, rendendo doppiamente difficile la diffusione del metal nella società sudafricana. Ma nonostante tutto, si formarono numerose band che, con una sana dose di forza, coraggio e caparbietà, sfidarono apertamente il sistema.

I Voice of Destruction, una delle prime band estreme del Sudafrica

I Voice of Destruction furono i primi a provare a sovvertire gli schemi della società. Nati nel 1988 come un gruppo hardcore punk, cambiarono il loro sound verso il death metal incorporando vari elementi thrash e doom. La scelta del nome, non fu casuale: per una band chiamata “voce della distruzione” lo scopo principale era quello di farsi sentire il più possibile per tramandare il forte messaggio di ribellione intrinseco nel loro concept.

E già con il primo album Black Cathedral riuscirono a trascinare gran parte dei loro colleghi contemporanei che, passo dopo passo, li seguirono nel loro stesso intento.

Gli altri due gruppi storici della scena metal sudafricana sono gli Urban Assault e gli Agro, i quali, grazie alla loro proposta dura e diretta (crossover/thrash e power/thrash) riuscirono a farsi notare velocemente.

Gli animi si erano smossi un po’ ovunque, ma la censura non mollò la presa. Le ostilità nei confronti del metal non erano del tutto cessate e molte band importanti, tra le quali i Black Sabbath, continuarono ad essere boicottate durante i loro concerti. Nel giro di qualche anno, però, la situazione cambiò radicalmente.

Nel 1989, venne eletto come nuovo presidente del Sudafrica Frederik de Klerk che, pur essendo esponente del Partito Nazionale, avviò il processo di transizione dall’apartheid ad una forma di governo più egualitaria.

Dopo aver compreso l’insostenibilità politica del sistema, nel 1990 compì l’atto più simbolico della storia politica sudafricana: la scarcerazione di Nelson Mandela, storico oppositore del regime, che divenne, nel 1994, il primo presidente nero del Paese e abolì definitivamente tutte le leggi di segregazione razziale.

Nelson Mandela durante la sua presidenza. Rai Cultura

Così, dopo la fine dell’apartheid, ci fu un’apertura culturale e un maggiore accesso alla musica internazionale, permettendo a molte nuove band di emergere e svilupparsi in tutta la nazione.

Tra le più storiche, oltre alle tre già citate, ci sono i Groinchurn, nati a Johannesburg nel 1994 e noti per il loro sound grindcore brutale e aggressivo. Altri importanti esponenti sono i Mind Assault, gruppo melodeath proveniente dalla città di Somerset West, che si sono distiniti per i loro testi a carattere politico cantati in afrikaans nel primo album Stigma.

Non mancano all’appello, inoltre, i Sacraphyx. Nati a Città del Capo nel 1993, sono conosciuti come uno dei primi gruppi death metal sudafricani, con la realizzazione di due album Eighth Day (1999) e The Shades of Hate (2003).

Dal nome quasi simile, ci sono i SacriFist, band melodeath nata nel 1992 con all’attivo 4 full-length, mentre tra gli acts più estremi si ricordano i Pledge Defiance, combo brutal death di Durban e Throne Below, progetto solista black metal con base a Bloemfontein.

Notevoli sono anche i casi di band più recenti arrivate al successo internazionale. È il caso degli Infanteria (thrash) e dei Red Helen (metalcore), che hanno calcato entrambi i palchi del Wacken Open Air, ma soprattutto dei Vulvodynia, una delle formazioni brutal death più popolari degli ultimi anni.

La scena metal sudafricana è più viva che mai. Nonostante le sfide legate all’isolamento geografico e alla scarsa visibilità mediatica, molte band stanno emergendo con forza, portando sul palco una combinazione unica di radici locali e influenze globali che riflettono le tensioni, le trasformazioni e la creatività di una società in continuo cambiamento.

Mozambico, emblema di resistenza

Il Mozambico è un Paese che ha molte cose in comune con l’Angola: è un’ex colonia portoghese, con un passato burrascoso molto simile e, in ambito musicale, con una scena metal formatasi quasi alla stessa maniera e per gli stessi motivi.

Dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Portogallo nel 1975, il Mozambico era in mano al FRELIMO (Fronte di Liberazione del Mozambico) di ispirazione marxista-leninista, a cui si oppose la RENAMO (Resistenza Nazionale Mozambicana) di stampo conservatore. Essendo il pieno periodo della guerra fredda, i due partiti non si contendevano solo il controllo politico, ma anche la supremazia ideologica. E questa fu la causa scatenante di ciò che successe di lì a poco.

Il Paese, infatti, era appena uscito da 10 anni di conflitti ininterrotti, ma con la povertà dilagante e il governo autoritario del FRELIMO, il malcontento generale si inasprì sempre di più finché, dopo due anni, si ricorse nuovamente alle armi.

Esercito militare della RENAMO. TopWar

Nel 1977, iniziò una lunga guerra civile, nella quale si videro numerose atrocità: la RENAMO attaccò incessantemente villaggi, infrastrutture e ferrovie, reclutando bambini soldato e organizzando brutali strategie di guerriglia.

Solo a partire dal 1986, con Joaquim Chissano al potere, le cose iniziarono ad aggiustarsi, poiché cercò di negoziare accordi sia con gli avversari politici, sia con la comunità internazionale, incluse la Chiesa cattolica e l’Italia.

Così, nel 1992, dopo 15 anni di spargimenti di sangue, il governo mozambicano e la RENAMO firmarono gli Accordi di Pace Generali di Roma ponendo fine ad un conflitto che aveva causato oltre un milione di morti.

Joaquim Chissano, ex presidente del Mozambico. BBC

Dopo questa grave contesa, però, il Mozambico non tornò mai più effettivamente in un clima di pace. Nuove tensioni tra FRELIMO e RENAMO sono esplose periodicamente anche dopo il 1992, con scontri armati frequenti tra il 2013 e il 2016.

Nel 2019 venne firmato un nuovo accordo di pace ma, ancora una volta, non risolse niente. Il pericolo del terrorismo, lo sfruttamento delle risorse minerarie e il numero crescente di sfollati alimentano un clima sempre più teso, con altre guerre che possono scoppiare da un momento all’altro.

In un Paese che non riesce a trovare pace, tra continue tensioni sociali ed estrema povertà, poteva esserci solo uno strumento in grado di denunciare i traumi della guerra e della politica interna: l’heavy metal, che diventò il principale mezzo di sfogo di tanti ragazzi in cerca di un riscatto.

Panorama di Maputo, capitale del Mozambico

La scena metal è emersa nei sobborghi di Beira e della capitale Maputo a metà degli anni ’90 con la fine del conflitto. Attorniati da uno scenario apocalittico fatto di case distrutte, popolazione dimezzata e grave carestia, i giovani musicisti cercarono uno sfogo per denunciare tutte le malvagità a cui avevano assistito negli anni precedenti, riuscendo a raggruppare tutti coloro che erano legati dalla stessa passione per formare una cerchia consistente.

Come accaduto in Angola, anche la scena mozambicana è stata resa nota grazie ad un documentario, Terra Pesada, diretto dalla regista americana Leslie Bornstein. Il film racconta la vita dei musicisti metal di Maputo, esplorando le loro sfide quotidiane, le aspirazioni e come la musica metal rappresenti una forma di resistenza culturale e personale.

Le band emerse dalla capitale sono diverse sia in numero che nello stile, a partire da quella più nota: i Sarcotrofia. Fondati nel 2006 dal batterista Goro Edgar Fast, il quartetto ha realizzato solo un EP dal titolo Left to Rot (2013) composto da cinque tracce dal death metal puro, feroce e strabordante, da cui traspare la forte ribellione racchiusa nella loro identità.

Il nome di Goro Edgar Fast lo si legge anche nella line-up dei Darkest Place, band gothic/black che, come i Sarcotrofia, conta solo un lavoro ufficiale, Ashes of the Earth, pubblicato nel 2010.

Tra gli acts più interessanti ci sono anche gli OVNI, che mescolano deathcore e thrash, creando un sound potente e distintivo espresso nell’omonimo EP del 2011. Non mancano, inoltre, band dalla proposta particolare come i Norbormide NMD, che fondono heavy metal, death, metalcore e fusion, creando un sound unico e potente.

Locandina di un concerto a Maputo dei Norbormide NMD in apertura ai Vulvodynia

Infine, tra le menzioni degne di nota ci sono gli Ectogenesis, trio black metal capitanato da Magnus Madrugoth, e gli Hora Vitrum, band metalcore che, nonostante abbia pubblicato solo tre singoli, si presenta ispirata e talentuosa.

La scena metal in Mozambico è giovane ma vibrante, ancora in fase di crescita, ma caratterizzata da una passione autentica e da una continua ricerca di nuove espressioni musicali. Le difficoltà sono ancora innumerevoli, ma i giovani metallari portano avanti la loro musica con grinta e determinazione.

Madagascar: l’isola della ribellione

Anche il Madagascar rientra tra i Paesi dell’Africa meridionale con una folta comunità metallara, in cui il genere è arrivato a infiammare gli animi dei musicisti e appassionati con motivi simili alle nazioni vicine.

Nel 1972, dopo la caduta della Prima Repubblica, il Madagascar cercò di avere una forte autonomia non solo politica, ma anche identitaria dato che, sotto l’amministrazione di Philibert Tsiranana, l’influenza francese era praticamente una legge.

Con l’avvento al potere dei militari nel 1975, ebbe inizio ufficialmente la Seconda Repubblica con a capo Didier Ratsiraka che, adottando un modello nazionalista e socialista, cercò di far tornare il Paese autonomo in tutto e per tutto.

Didier Ratsiraka. Channels Television

Così, il Madagascar vide un periodo di politica isolazionista, durante il quale le relazioni con gli altri stati, a meno che non facessero parte del blocco sovietico, erano pressoché nulle.

Una forma di governo che, però, si rivelò inefficace, portando a povertà crescente, scontri tra fazioni opposte e guerriglie urbane. Il Paese, quindi, sprofondò in una grave crisi economica, facendo crescere la tensione alle stelle in tutta l’isola.

Fu proprio questa fase repressiva che, paradossalmente, contribuì alla nascita della scena metal malgascia. Il genere, benché all’epoca sconosciuto, si affermò nei maggiori centri dell’isola, permettendo ai giovani di esprimere dissenso, frustrazione e un senso di identità alternativa in un clima politico chiuso.

I Kazar, una delle prime band metal malgasce

Gruppi pionieristici come Kazar, Lokömotiva, Pharaons e Apost iniziarono a scrivere brani inediti ispirandosi all’hard rock, all’heavy e al thrash. Queste band hanno contribuito a consolidare l’identità del metal in Madagascar, sviluppando un suono distintivo arrivato in seguito grazie ad album come Lokömotiva Mpivahiny, Apokalipsa e Evil World, realizzati per metà in inglese e per metà in malgascio.

Durante gli anni successivi, il Madagascar vide altri periodi difficili: Ratsiraka perse il potere venendo esiliato in Francia e, dopo il suo governo, aumentarono le tensioni interne tra colpi di stato e continue rappresaglie.

Tutto ciò influì anche sullo sviluppo della scena metal che, negli anni 2000, affrontò una fase di declino, con una minore affluenza ai concerti e una copertura mediatica ridotta.

A partire dal 2010, però, ci fu un nuovo periodo florido con l’emergere di nuovi musicisti. Tra questi spiccano i Sasamaso, una delle prime band metal con una cantante donna (Rasah) dal thrash metal impetuoso espresso in malgascio.

Altre band longeve sono gli Storm, unica band power metal del paese nata nel 1998, e i Beyond Your Ritual, combo prog/thrash con all’attivo 3 album in studio, spianando la strada a musicisti più giovani che hanno reso la scena ancor più dinamica.

La maggior parte di loro ha formato band thrash metal come gli Sharks, i Soradra, i My Veins e i Load, ma non mancano neanche progetti death e black metal come i Valan’kisoa e i Lamasy.

La scena metal in Madagascar è dunque, come nelle altre nazioni, un esempio di resilienza culturale e creatività. Sebbene ci siano ancora molti ostacoli, sia culturali che logistici, i musicisti continuano a innovare, ampliare e arricchire il patrimonio della musica underground in tutto il Paese, costruendo una comunità sempre più in crescità.

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