L’adolescenza e i primi passi nella musica

Faccia da duro, capelli scuri e ricci, chiodo inamovibile, ma soprattutto, una personalità irriverente, rabbiosa, impulsiva e sopra le righe, tipica di quelle icone (o anti-icone) che non vorrebbero neanche essere considerate tali, ma che inevitabilmente lo diventano. È così che Paul Di’Anno si fece conoscere agli occhi del mondo, quando era ancora un giovane scapestrato della periferia londinese.

Nato il 17 maggio 1958, Paul Andrews, suo nome all’anagrafe, crebbe a Chingford, sobborgo nord-est della capitale britannica, in un ambiente multietnico, ma allo stesso tempo definito “razzista”: le sue dichiarate origini brasiliane ed italiane non lo aiutavano ad evitare episodi spiacevoli in cui la polizia maltrattava lui e i suoi amici, anch’essi di origine straniera. La sua travagliata adolescenza, dunque, scorre in un ambiente ostico e difficile che lo spinge ai primi eccessi, guadagnandosi da vivere come macellaio a Station Road, nei pressi di Notting Hill, e anche come cuoco in vari alberghi e ristoranti. Ma, in tutto ciò, c’era anche un altro hobby che lo teneva impegnato nella sua vita sregolata.

Sì, hobby, perché la sua non poteva essere ancora definita passione: iniziò a piacergli il punk, ad ammirare Bon Scott e a seguire le sue orme, ma solo perché era un buon metodo per far colpo sulle ragazze. Non era di certo perché pensava di diventare un artista. Ma ad accorgersi del contrario furono altri suoi colleghi.

Doug Sampson, primo batterista degli Iron Maiden, che introdusse Paul Di’Anno in formazione. Loopy World

Nel 1978, durante il periodo con i Paedophiles, band punk/rock, venne notato da Doug Sampson, batterista degli Smiles che, da poco, si era unito agli allora nascenti Iron Maiden fondati dal suo vecchio amico Steve Harris. Cercare un cantante, dopo l’abbandono di Dennis Wilcock, era una priorità, e fu per questo che Sampson lo fece conoscere ai suoi compagni per proporgli un’audizione. D’altra parte, il giovane Paul non sentiva l’esigenza di diventare la voce di un gruppo che sfotteva in compagnia dei suoi amici e, quando fu chiamato per le prove, non andò convinto, né carico al 100% per le continue sbronze che si prendeva. Ma quelle sue doti canore, a Steve Harris, erano piaciute parecchio: “C’è una sorta di qualità nella voce di Paul, una ruvidità nella sua voce, o come si voglia chiamarla, che gli ha dato questo grande vantaggio”.

Bastarono queste parole per capire chi sarebbe stato il loro nuovo vocalist, che accettò la proposta e si unì alla formazione. In un attimo, il Paul Andrews che cantava per hobby e che lavorava negli hotel, diventò un artista a tempo pieno con il nome che lo avrebbe reso noto ovunque: Paul Di’Anno. Un evento che si rivelerà storico.

Il periodo negli Iron Maiden

Nel 1979, gli Iron Maiden avevano una line-up bella solida: oltre al neo entrato singer, accolsero il batterista Clive Burr e un secondo chitarrista, Dennis Stratton, in modo da registrare, finalmente, un po’ di inediti. I primi due lavori ufficiali sono il demo The Soundhouse Tapes e il singolo Running Free, il cui sound si distinse subito: non era hard rock, non era punk, ma una forma inedita, più veloce, diretta e aggressiva.

Gli Iron Maiden nel 1980. Al centro, Paul Di’Anno. Southeast of Heaven

Una formula che diventerà famosa nel 1980, l’anno zero dell’heavy metal per come lo conosciamo oggi, grazie all’uscita dell’album omonimo. Con quella copertina leggendaria che introduce il primo design di Eddie, la band unì l’energia del punk con i tipici riff hard rock e il dinamismo del progressive rock. Tutto impattante, ma ancor di più lo è la voce di Paul dietro il microfono, dal timbro punk, che si adatta bene anche a aperture più melodiche in stile blues. Un vero terremoto, un’ondata di novità assoluta che rinvigorisce le strutture di un genere che aveva bisogno di evolversi.

Il successo riscosso convinse i Maiden a tornare in studio per registrare il secondo album. Se il primo era più duro e acerbo, Killers, con il nuovo chitarrista Adrian Smith, diventò più nitido, ambizioso, di portata più ampia. Wrathchild, Purgatory e Murders In The Rue Morgue hanno la stessa grinta di Prowler, ma più marcata, con la voce di Paul che diventa ancor più potente durante i picchi alti. Il sound è più fresco, intenso e dinamico, con tutte le caratteristiche che saranno seminali per le band che prenderanno spunto dai Maiden negli anni a venire.

Ormai, erano diventati il gruppo del decennio: le nuove reclute della NWOBHM avevano uno stile riconoscibile dettato proprio dai londinesi, per i quali sembrava andasse tutto a gonfie vele. Ma, dietro questo successo, andarono via via formandosi delle ruggini interne, proprio per mano di Paul Di’Anno.

Il suo ruolo nella band non lo fece distrarre dalle sue cattive abitudini: l’abuso di alcol e di droghe diventò sempre più costante, tanto che, durante i tour di promozione degli album, in alcuni show non riuscì a reggersi in piedi. Il suo carattere impulsivo, poi, gettò solo ulteriore benzina sul fuoco: già l’arresto dell’aprile 1980 (non sarà l’ultimo) creò non pochi problemi, figuriamoci le sue bravate ripetute giornalmente. Paul diventò ingestibile, e ciò spinse Harris & co. ad allontanarlo dalla band, complici anche gli screzi con il manager Rod Smallwood. Così, il 10 settembre 1981 all’Odd Fellow’s Mansion di Copenaghen, tenne l’ultimo concerto con i Maiden prima di lasciarli senza neanche chiedere i diritti d’autore, ma con una semplice buonuscita.

Non fu certo semplice per la band: dopo aver trovato la strada giusta per andare avanti, perdere un frontman come Di’Anno fu comunque una mazzata. In seguito, però, con l’arrivo di Bruce Dickinson dai Samson, i Maiden diventarono un mito planetario, oltre che professionisti a tutti gli effetti. Un epilogo che diede ragione più a Steve Harris, ma che non tolse i meriti a chi diede la prima vera identità alla vergine di ferro.

I progetti successivi

A quel punto, al giovane Paul restarono solo 2 opzioni: mollare tutto o andare avanti. Gli ci volle una lunga pausa per prendere una decisione definitiva, che arrivò nel 1983 con i Di’Anno, band hard rock che doveva rilanciare il suo nome. Nel 1984 registrarono un self-titled album e si imbarcarono in tour con una sola regola: non suonare nessuna canzone dei Maiden. In un primo momento, le cose sembrarono andare per il meglio, ma sia le vendite, sia l’affluenza di pubblico non furono all’altezza delle aspettative. Lo scioglimento fu inevitabile. Dopo questa sfortunata parentesi, Di’Anno si unì ai Gogmagog, un supergruppo formato dal manager Jonathan King in cui c’erano anche una vecchia e, in seguito, nuova conoscenza dei Maiden: Clive Burr , ex batterista, e Janick Gers, futuro chitarrista. Tuttavia, il progetto non lo convinse, lasciandolo dopo il tempo di un solo EP.

Cresce la delusione, ma anche la sua voglia di continuare a fare musica. Quindi, nel 1986 fonda i Battlezone, il progetto con cui, finalmente, il tiro sembra aggiustarsi: i due album Fighting Back e Children of Madness suonano freschi e originali, dalla carica simile ai lavori che ha composto 6 anni prima. Anche in questo caso, però, non ci fu un lieto fine. Personalità contrastanti, idee diverse e liti continue minarono la stabilità della band, sciogliendosi dopo appena 3 anni.

Ancora una volta, Di’Anno si ritrovò senza band. Cercò di rivitalizzare i Praying Mantis, altri esponenti della NWOBHM, con l’altro ex Maiden, Dennis Stratton, ma niente da fare: appena un anno dopo se ne andò. Decise, quindi, di fondare un’altra band dove fosse lui la mente principale, e il nome che le diede fu del tutto casuale: Killers. Lo scopo era quello di tornare ai fasti di un tempo e, per un attimo sembrava anche possibile. I due album, heavy a tutto tondo, riuscirono a cavalcare bene l’onda di quegli anni, permettendo all’ormai rilanciato Paul di prendere una boccata d’aria fresca. Tutto sembrava andare per il meglio, soprattutto quando Dickinson, nel 1994, lasciò i Maiden per lo spiraglio di un possibile ritorno. Ma, ancora una volta, la situazione si ribaltò.

Paul Di’Anno con i Killers

Nel 1997 i Killers si sciolsero, negli Iron Maiden andò Blaze Bayley e Paul rimase nuovamente senza nulla in mano. Cercò di rimettersi in pista con altre opere incise da solista come As Hard as Iron, ma non bastò: la sua carriera musicale rimase in stallo.

Gli ultimi anni tra arresti, droga e malattia

Una carriera di alti e bassi, simile al percorso di un rollercoaster, dalla quale si evince, come già detto, una vita altrettanto altalenante tra la passione per le ragazze, per le armi (come la sua Uzi detenuta illegalmente) e anche per la droga (cocaina e speed), per cui è stato capace di sperperare il suo patrimonio finendo spesso in bancarotta. Il tutto accompagnato dalla sua personalità instabile e focosa.

Nel 1993, fu arrestato a Los Angeles con l’accusa di violenza domestica dopo aver minacciato la sua ex ragazza con un coltello in seguito ad una lite. Definendo il cantante “una minaccia per la società”, il giudice lo rimandò a Londra senza la possibilità di tornare negli Stati Uniti per quasi 20 anni. Nel frattempo, si trasferì in Brasile per questioni economiche e logistiche, dove fondò i Nomad e pubblicò un album autoprodotto che potesse andar bene per il mercato sudamericano. Il disco, però, non raggiunse il successo sperato, stabilendo la fine del progetto.

Paul Di’Anno nel 2003

Alla fine del 2008, quindi, si spostò nel sud-est del Brasile formando, sotto il nickname “Paulo Baiano” un nuovo progetto chiamato Rockfellas assieme a tre musicisti brasiliani: Jean Dolabella (batterista ex Sepultura), Marcão (chitarrista dei Charlie Brown Jr.) e Canisso (dei Raimundos), riproponendo i classici dell’heavy metal.

Nel frattempo, però, la sua salute peggiorò: diventò grasso, calvo e sempre più vittima dalle sue cattive abitudini, finendo in condizioni quasi critiche. Nel 2002 si dichiarò affetto da disturbi alle terminazioni nervose della schiena, percependo dei sussidi di invalidità dal governo britannico per almeno 6 anni. Il tutto mentre, su YouTube, erano stati caricati dei video che lo ritraevano in forma sui palchi di mezza Europa. Ancora una volta, Paul finì dietro le sbarre per frode previdenziale di oltre 45.000 sterline. Scontò 2 mesi di carcere, tornando di nuovo a calcare i palchi di tutto il mondo, ma le sue condizioni di salute peggiorarono ulteriormente. Nel 2016, si esibì per la prima volta in sedia a rotelle: il legamento del suo ginocchio destro si ruppe, subì un’operazione e, nel frattempo, si presentarono altri problemi che, però, non rivelerà.

Nel 2021, dopo anni di complicazioni, fu costretto a un crowdfunding per sottoporsi ad un altro intervento chirurgico al ginocchio che, da una foto, apparve gravemente gonfio. Dopo aver raggiunto la somma necessaria, grazie anche ai suoi vecchi compagni Iron Maiden, si trasferì in Croazia, dove si operò e continuò anche a suonare con i Warhorse, con cui riuscì a fare anche dei tour. Ma tutto ciò non risolse i suoi problemi, che diventarono sempre più grandi fino al triste epilogo del 21 ottobre 2024, quando venne trovato morto nella sua abitazione di Salisbury all’età di 66 anni.

Paul Di’Anno, in sedia a rotelle, allo Stonedead Festival 2024. Metal Talk

Chi era, quindi, Paul Di’Anno? Lo si può definire in tanti modi: genio, sregolatezza, pazzia, eccesso. Le sue continue dichiarazioni contraddittorie, soprattutto nei confronti dei suoi ex compagni, erano la dimostrazione di questo suo carattere sopra le righe. Un pioniere nel genere musicale che ha definito con la sua stessa voce, ma al contempo anche il simbolo dell’umanità che cade in disgrazia grazie alle sue azioni, divorata dalle sofferenze. Il simbolo di una generazione, di un immaginario, della musica metal per come la conosciamo oggi. Un’autentica leggenda.

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