
- Band: TESTAMENT
- Durata: 42:43
- Data di uscita: 8 giugno 1999
- Etichetta: Spitfire Records
Solamente leggendo il nome della band potremmo anche finirla qui. A cosa serve parlare se davanti abbiamo i Testament? La storia del thrash metal passa anche da loro, perché album come The Legacy (1987) e The New Order (1988) sono diventati imprescindibili per questo genere musicale, alla pari con Reign in Blood, Among the Living e Kill ‘Em All, per intenderci. Solo dei musicisti esperti e talentuosi potevano dare alla luce dei dischi così importanti, specie se si inquadra il periodo storico. A fine anni ’80, il thrash metal era nel suo periodo d’oro nel quale, per sfondare a pieni voti, bisognava farsi spazio a gomitate tra Slayer, Megadeth, Forbidden, Exodus e chi più ne ha, più ne metta. Molto più facile a dirsi che a farsi, ma i Testament non hanno mai badato alle chiacchiere: loro hanno sempre dimostrato il proprio valore con i fatti, con formazioni sempre all’avanguardia, con i migliori musicisti che capitassero a tiro, e il buon Eric Peterson, in questo, ci ha sempre visto lungo, perché altrimenti a quest’ora non avremmo mai visto album come The Gathering.
Nella seconda metà degli anni ’90, i Testament stavano attraversando un periodo di crisi, complice l’abbandono di Alex Skolnick (che si rivelerà temporaneo) e il nu metal che sovrastava tutti gli altri sottogeneri nella scena mondiale. Lo dimostrava Demonic, album un po’ sottotono rispetto ai precedenti, realizzato, tra l’altro, con una formazione ridotta. Serviva necessariamente una scossa, che è arrivata con due nomi a caso: Steve DiGiorgio e Dave Lombardo. Ecco come The Gathering è riuscito nell’arduo compito di rivitalizzare un genere che si stava quasi perdendo sulle sue stesse orme, e a parlare è la musica.
D.N.R. (Do Not Resuscitate) non poteva aprire il disco meglio di così. I suoi 3 minuti e mezzo sono feroci, tirati, resi così bene grazie alla prestazione sublime di ognuno dei 5 protagonisti: Lombardo, neanche a dirlo, è autore di una prova inumana, sulla quale Peterson e James Murphy piazzano dei riff rocciosi e feroci, a dare manforte ad un Chuck Billy in stato di grazia. Che dire, poi, di Down for Life? Non esiste un solo momento in cui cede la tensione: l’intro con chitarre possenti, batteria cadenzata e il ruggito del singer apre la strada ad una strofa dal ritmo trascinante, che ci fa scuotere la testa a suon di headbanging soprattutto nel grandioso ritornello. Anche nella seconda parte, dedicata più alla melodia delle chitarre, non si perde la concentrazione, perché Peterson e Murphy dialogano a suon di riff veloci e ben sovrapposti sui blast beats di Lombardo, ancora una volta perfetto. Non si riesce nemmeno a riprendere fiato che già arriva Eyes of Wrath, con un’intro calma e sinistra accompagnata dallo splendido basso di DiGiorgio e dall’ottimo lavoro ai piatti di Lombardo. Poi tutto esplode in una grande escalation di grinta, resa al massimo da tutti i musicisti, con l’assolo finale che rimane impresso nel cervello. Un po’ come succede in True Believer, brano orecchiabile ma allo stesso tempo aggressivo, presentando anch’esso un assolo ultra tecnico verso la fine che si posa benissimo sulla base che definire irresistibile è poco. 3 Days in Darkness procede con un andamento più cadenzato, ma non meno pesante. Perché, ricordiamoci, uno come Lombardo non si tira mai indietro quando si tratta di pestare sul doppio pedale, e qui si sente eccome. Certo, ci sono delle pause, ma quando il ritmo riprende ci travolge in un batter d’occhio, senza poter fare nient’altro che ammirare gli stacchi improvvisi delle chitarre che sono, soprattutto verso la fine, inarrestabili. Sì, inarrestabili proprio come Legions of the Dead, il brano più tirato del lotto: riff pesantissimi, blast beats come se piovessero e una voce più aggressiva del solito sono gli elementi che ne fanno da padrone per tutta la sua durata, quasi a sfondare la barriera che divide thrash e death. Careful What You Wish For, dal sound più ritmato, viaggia costantemente spedita grazie ad una batteria dal sapore tribale e dalle chitarre sempre intense. Una scarica di adrenalina che si ripete in Riding The Snake, dove il basso di DiGiorgio entra nei padiglioni auricolari per non uscirne più. Le battute finali di quest’opera sono riservate all’ultimo trittico formato da Allegiance, ricco di stacchi groovy ben scanditi, Sewn Shut Eyes, che gioca tra cambi di tempo violenti e più calmi, e la conclusiva Fall Of Sipledome, che torna di nuovo sull’aggressività, marcata da un growl quasi death di un Chuck Billy che, qui, si è superato.
Ci vuole poco a capire che quest’album sia senza nessun difetto. The Gathering mostra tutte le qualità del repertorio dei Testament in una raccolta di 11 brani (12 se si considera la bonus track Hammer of the Gods) brillanti, diretti, spediti, che viaggiano sui tre minuti e mezzo di media per non darci nessuna tregua, per non farci perdere il filo, ma soprattutto, per farci notare la loro maestria. Sulla buona riuscita del disco non ci sono solo l’ottima produzione e il songwriting ispirato, ma anche la passione e l’affiatamento tra musicisti che sanno bene cosa significa fare musica estrema. Perché i Testament, aldilà dei gusti musicali, producono sempre dischi di altissima qualità (visibile anche nei più recenti), e con questo lavoro, probabilmente il migliore della loro discografia, hanno zittito i critici, gli scettici e chi ancora osa dire che questa non sia una grande band. Musica con la M maiuscola.
Miglior brano: Down For Life
Voto: 9,5
TRACKLIST:
- D.N.R. (Do Not Resuscitate)
- Down for Life
- Eyes of Wrath
- True Believer
- 3 Days in Darkness
- Legions of the Dead
- Careful What You Wish For
- Riding The Snake
- Allegiance
- Sewn Shut Eyes
- Fall Of Sipledome


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