
Essere metallari, in alcune parti del mondo, non è per niente facile. Questo perché, ancora oggi, il metal è bersagliato continuamente da stereotipi che, spesso, vanno al di là dei giudizi superficiali.
Se in certi casi le etichette di “violento” o “satanista” sono un semplice luogo comune, in altri possono diventare una questione di vita o di morte: in Paesi come l’Arabia Saudita e l’Iran, la sharia è una legge di stato che i regimi applicano in ogni ambito. Da qui nascono divieti, censure e misure molto rigide che, se non rispettati, possono portare all’arresto, alle persecuzioni e, nel peggiore dei casi, anche alla pena capitale.
Questo è ciò che succede ai musicisti che hanno scelto di suonare heavy metal in quelle zone: un genere così ribelle e anticonformista è considerato inaccettabile dalle istituzioni, specie se all’apparenza è contro la religione, e il rischio di essere puniti è altissimo. Gli episodi sono tanti e, probabilmente, molti di questi non vengono resi noti, ma ce ne sono alcuni, anche famosi, in cui vari artisti sono stati costretti a scappare dal loro Paese per difendere la libertà di espressione dalle minacce di morte e dalle pene a cui sono stati condannati.
Acrassicauda

Gli Acrassicauda nascono nel 2000 a Baghdad, in Iraq, su iniziativa del batterista Marwan Hussein Riyadh e del chitarrista Faisal Talal Mustafa. Completata la formazione con Firas Al-Lateef al basso e Waleed Moudhafar alla voce (che resterà solo per 2 anni), i nostri si imbattono in un thrash metal che si ispira a Slayer, Testament ed Exodus, diventando una delle prime band irachene a spingersi verso un sound più estremo. I ragazzi vogliono farsi conoscere, ma lo fanno nel posto sbagliato al momento sbagliato. In quegli anni, l’Iraq è martoriato dal regime di Saddam Hussein, dall’invasione americana e dal fondamentalismo religioso che rendono la vita dei musicisti molto difficile: i loro concerti non sono autorizzati, se non solo in piccole hall di qualche hotel, ma vengono puntualmente interrotti dai bombardamenti e dalle irruzioni dei militanti islamici, che li minacciano di morte perché ritenuti blasfemi. Il crescendo di violenza nella capitale irachena spinge gli Acrassicauda ad abbandonare il Paese rifugiandosi prima in Siria, poi in Turchia, in cui riescono a registrare i loro primi lavori. Infine, nel 2009 raggiungono gli Stati Uniti, dove si stabiliscono con lo status di rifugiati politici e dove avranno modo di produrre nuovo materiale, tra cui il primo full-lenght Gilgamesh (2015). La storia della band è diventata famosa per il documentario “Heavy Metal in Baghdad” realizzato da Vice, che ha seguito sul campo le vicende dei musicisti.
Al-Namrood

Gli Al-Namrood sono riusciti a stupire il mondo per due motivi: per aver creato un sound quasi unico, che unisce il black metal alla musica folk medio-orientale in atmosfere suggestive, e per aver deciso di fare tutto ciò nel loro Paese: l’Arabia Saudita. Chiamarsi “non credente” in una nazione in cui l’Islam governa in toto la società è una cosa quasi impossibile da immaginare, eppure è dal 2008 che i musicisti pubblicano album ed EP dal concept chiarissimo: opporsi ideologicamente al regime. Da quando il governo saudita ha saputo della loro esistenza, infatti, gli Al-Namrood sono costretti a vivere come latitanti, rimanendo nell’anonimato e nascondendosi in bunker sotterranei per evitare la pena di morte, motivo per cui non sono mai riusciti ad evadere dal Paese. Ultimamente, però, l’Arabia Saudita sembra aver rivalutato alcuni aspetti politici e societari, e il caso degli Immortal Pain, unica band metal ad aver mai suonato ad un evento pubblico nel Paese, ne è una forte (ma per il momento isolata) dimostrazione. Probabilmente è per questo motivo che, almeno negli ultimi anni, gli Al-Namrood non hanno più avuto attenzioni da parte delle autorità, riuscendo così a sfuggire alle persecuzioni e a produrre nuovi dischi, l’ultimo dei quali, Worship the Degenerate, è uscito nel 2022.
Arsames

Anche l’Iran è un Paese in cui il regime prevede, in maniera piuttosto rigida, il rispetto dei principi fondamentali dell’Islam ed episodi di repressioni violente, purtroppo, ce ne sono stati tanti. Non è poi così difficile immaginare che anche il metal sia visto come una “minaccia” per il governo, e un esempio concreto sono gli Arsames. La band, attiva dal 2002, ha pubblicato 2 EP, un album e una demo dal death metal dirompente ispirato stilisticamente ai Vader, ma concettualmente all’antico impero persiano, dimostrandosi non solo colti, ma fieramente legati alle proprie origini. Il governo iraniano, però, tutto questo non gliel’ha mai riconosciuto, prendendo invece seri provvedimenti. Nel 2017, il leader Ali Madarshahi, Saeed Makari e Soroush Kheradmand vengono arrestati con l’accusa di satanismo e, una volta rilasciati su cauzione, le minacce non finiscono: le autorità impongono loro di smetterla per evitare conseguenze peggiori, ma questo ordine, come logico pensare, è stato totalmente ignorato. Il governo, quindi, arriva ad una decisione drastica condannandoli a 15 anni di carcere, ma nell’agosto 2020 i tre riescono appena in tempo a fuggire dall’Iran. Attualmente non si sa dove si trovano, ma sono ancora attivi e pronti a rimettersi in gioco.
Confess

Ancor prima degli Arsames, c’è stato un altro famoso caso di persecuzione contro una band: quello dei Confess. E le dinamiche sono praticamente le stesse. Nel 2015, tre anni dopo il primo Beginning of Dominion, i ragazzi realizzano il secondo album In Pursuit of Dreams che, come il precedente, è un concentrato di rabbia e di rivolta espresso in un sonoro groove/thrash. La ribellione che mostrano in questo disco, però, è eccessiva per le istituzioni iraniane: non solo la musica è “satanica”, ma è anche fin troppo esplicita nei titoli delle canzoni, come New World Order, Teh-Hell-Ran o I’m Your God Now. Dopo un mese, infatti, i due membri principali Nikan Khosravi e Arash Ilkhani vengono arrestati con l’accusa di blasfemia e portati nel carcere di Evin, a Teheran, in cui trascorrono 4 mesi. Dopo essere stati rilasciati su cauzione, affrontano un lungo processo, al termine del quale arriva una pesantissima condanna: 14 anni di reclusione e 74 frustate per Khosravi e 2 anni per Ilkhani. I due, ovviamente, non accettano queste condizioni e riescono ad attraversare il confine con la Turchia per poi emigrare in Norvegia, dove hanno ottenuto asilo politico e continuano a scrivere musica con altri tre membri norvegesi, presenti nell’ultimo Revenge at All Costs.
Master of Persia

I Master of Persia si sono formati nel 2005 a Mashhad, la stessa città degli Arsames, e proprio come i colleghi, raccontano la storia della Persia nel loro songwriting immerso in un death metal influenzato dal prog e dal folk. In quasi 20 anni di carriera, la band ha pubblicato un solo album dal titolo Older Than History (2011), ma il motivo è facile da capire. Due di loro sono stati vittime di persecuzioni, in primis la frontwoman Anahid. In Iran, le donne per legge non possono cantare, esibirsi e incidere dischi a meno che non siano accompagnate da voci maschili, ma la singer non ne ha voluto sapere di rispettare questa regola, sfidando doppiamente il governo. Le ritorsioni, purtroppo, sono arrivate non solo dalla polizia, che l’ha catturata più volte, ma anche dalla sua famiglia che, date le circostanze, l’ha abbandonata in tronco. Anche Meraj, il secondo cantante, non è stato risparmiato: nel 2011 è stato accusato di essere un adoratore del diavolo, venendo condannato a ricevere 130 frustate. Dopo questo spiacevole episodio, i ragazzi fuggono a Yerevan, in Armenia, in cui rinascono sia come liberi cittadini, sia come musicisti fondando il Persian Metal Fest.
District Unknown

I District Unknown si sono sciolti da ormai 4 anni, ma durante il loro periodo di attività possono dire di averne vissute di ogni. Tutto inizia nel 2008, quando a Kabul Yusef Ahmad Shah decide di fondare una band metal remando contro la società. In Afghanistan, come ben risaputo, il fondamentalismo islamico è un tema molto caldo, e suonare un genere ritenuto troppo “occidentale” e “satanico” non è una scelta molto raccomandabile. Le minacce da parte dei talebani non tardano ad arrivare e, per evitare ulteriori pericoli, i componenti rimangono anonimi per anni nascondendo il volto con delle maschere. Nel 2013 la formazione si allarga con Sulleiman Omar (chitarra), Qasem Foushanji (basso) e Pedram Foushanji (batteria) ed è pronta a rilasciare il primo album Anatomy of a 24 Hour Lifetime (uscito nel 2014), ma le cose peggiorano: la società afghana non li accetta, additandoli come criminali, e ciò li spinge ad emigrare. I musicisti, quindi, si trasferiscono in Inghilterra, dove però non continueranno a lungo a suonare assieme. Nel 2019, infatti, Yousef e Sulleiman fondano gli Afreet, mentre dei fratelli Foushanji si sono perse le tracce. Ciò che conta di più, alla fine, è che i ragazzi abbiano continuato a vivere la loro vita senza nessun’altra ritorsione.


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